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I CIBI DI UNA VOLTA

(Tratto da “I cibi genuini dei nostri nonni” a cura del Laboratorio di Esplorazione Storico-Ambientale della Scuola Elementare di Cimbro-Cuirone, Anno scolastico 2003/2004, sotto la guida dell’insegnante Vanoli Lorella )

 

il cibo dei nostri nonni

Nella prima metà del Novecento, quando le abitazioni erano ubicate quasi esclusivamente nei centri storici, mentre attorno c’erano i prati e i campi coltivati, non si aveva certamente l’abitudine di consumare la pizza, né di mangiare un panino o un hamburger da McDonald’s.
I cibi erano piuttosto ripetitivi, molto semplici, ma genuini: ci si riempiva con pane giallo e polenta.

A colazione chi aveva la mucca prendeva una tazza di latte con un po’ di caffè. Molti mangiavano la minestra riscaldata, oppure la zuppa fatta con “pane giallo”, acqua calda e un po’ di burro.

A pranzo si cucinava spesso la minestra. Qualcuno ricorda la pastasciutta condita con un po’ di “fà bòm”, un sugo molto semplice e veloce. Si mangiavano “patati sguazzit e scigoll” (patate e cipolle), oppure verze, patate o fagioli in insalata.
Spesso c’era la polenta con le verze, con la “furmagina”, o con il “sancarlìn”.

Alla sera la cena era composta prevalentemente da minestra, riso e verze, riso e fagioli, oppure c’era la “panava”. Chi la minestra l’aveva già mangiata a mezzogiorno, consumava polenta e latte.
A volte si cenava anche con pane e uva, pane e fichi, pane e castagne.

La carne, per chi poteva, si consumava una volta alla settimana: si comperava qualche pezzetto di manzo, ma le parti più scadenti.

Alla domenica si cucinava anche la “curàva cui scigoll” (polmone con le cipolle), “pulénta e merlüzz” e “pulénta e saracc”: che festa!

Di uova se ne mangiavano poche perché le donne le vendevano per comprare il sale o il sapone.

Anche d’estate si accendeva il camino e la stufa a legna per cucinare poiché fino al 1950 circa nessuno possedeva il fornello, tanto meno la stufa a gas.

Il burro veniva fatto in casa con la “pinàgia”. Il liquido di scarto, residuo della fabbricazione del burro, non veniva buttato via, ma lo si consumava con inzuppato il “pane giallo”.

Generalmente il pane bianco, fatto di farina di frumento, si mangiava per Natale.

Nelle case l’attesa del Natale era veramente sentita, anche perché quel giorno ci sarebbe stato qualcosa di più, qualcosa di diverso sulla tavola.
Dopo la vigilia, giornata di “magro”, era tradizione cucinare la “rustiva da scigoll”, un piatto a base di cipolle e salsiccia. La “rustiva” alcuni la mangiavano la notte di Natale, altri la consumavano la mattina al rientro dalla Messa.
Il giorno di Natale si faceva il risotto, dato che in quell’occasione si ammazzava una gallina o il cappone per fare il brodo, che alla sera serviva per preparare la zuppa.
Il pranzo di Natale poteva essere anche a base di carne d’oca e di tacchino.
A Natale comparivano anche la mostarda e le arance: “POMM, NARÀNZ E NUS” erano i frutti di stagione che si regalavano ai bambini.

Solitamente la consumazione della frutta era legata ai prodotti stagionali: ciliegie, pere, mele, uva, fichi, noci, cachi.
Qualcuno sorride ancora ricordando i tempi in cui da bambino andava con altri coetanei a rubare ciliegie, magari all’imbrunire per non imbattersi nel proprietario degli alberi da frutta.

 

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ultima modifica: vergiate20/05/2013
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